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Giorgio Bocca |
Austerity e regali di Natale, spazio ai libri e alle edizioni economiche, come quella ristampata nel marzo scorso de "Il Provinciale" di Giorgio Bocca (Feltrinelli, pagine 292, euro 8,50). Un'autobiografia del giornalista cuneese considerata da alcuni uno dei più bei racconti sulla modernità in Italia. A leggerlo, un tracciato storico, una rotta di avvicinamento al presente per comprenderlo, attraverso i principali fatti di cronaca degli ultimi 70 anni, vissuti in prima persona dal giornalista scomparso il 25 dicembre 2011 a Milano.
Riportiamo alcuni brevi estratti sul '68 francese e l'inizio della strategia della tensione in Italia con la bomba di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. L'ex partigiano Bocca intravide subito dietro la strage la mano dei servizi segreti, parteggiò e, come si rimprovera nel libro, commise l'errore di scivolare nel vortice di disinformazione che ne seguì. Tuttavia i suoi giudizi, spesso tanto sgraditi alla stessa sinistra alla quale ha sempre dichiarato di appartenere, sui movimenti studenteschi del '68, i loro leader e più in generale sulla politica e la società italiana di quegli anni sono sempre lucidi e impietosi.
Lasciamo quindi un piccolissimo spazio al testo ma ricordiamo anche la bella intervista di Massimo Gramellini per LaStampa, all'indomani dell'uscita di Annus Horribilis (2010), uno degli ultimi saggi di Giorgio Bocca appena novantanne, in cui il giornalista esprime un'amara visione della società italiana.
Giorgio Bocca, Il provinciale, pagina 174 e seguenti.
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[...]
Poi, come spesso accade, da quella
confusa commedia si finisce nel tragico la sera del 12 dicembre 1969,
la sera di piazza Fontana, della bomba nella Banca dell'Agricoltura.
Di quella sera ricordo subito la caligine, da palude stigia, da
malebolge. [...] Entrare nella sala terrena della banca
dove una bomba aveva fatto strage non era possibile, ma bastava
guardare alla luce dei fari delle autoambulanze e delle autopompe lo
scempio dei corpi che arrivavano sulle barelle. A forza di giocare
con il fuoco il fuoco era divampato, a forza di giocare alla guerra
la guerra era arrivata sorprendendo anche la burocrazia di Stato
furba e sorniona. Un servizio segreto la stava mettendo davanti al
misfatto compiuto e non ci voleva molto a capirlo.
[…]
Io invece la lezione della vita non
l'avevo ancora imparata e così dopo piazza Fontana mi ributtai nella
mischia, come se uscissi da un sonno politico di quindici anni. E mi
ritrovai uomo di parte, sicuro di stare dalla parte giusta. Le buone
ragioni non mancavano, non era credibile che i quattro gatti dei
circoli anarchici avessero potuto preparare ed eseguire gli attentati
simultanei in due banche milanesi, in una romana e all'Altare della
Patria, e che nei mesi precedenti avessero mosso l'orchestra del
terrore. E di certo qualcuno nel governo o alle spalle del governo
assecondava la politica degli opposti estremismi, lasciava mano
libera sia allo squadrismo rosso che ai fascisti. C'era la
contestazione studentesca, c'era la crescente rabbia operaia ma la
risposta del terrore appariva sproporzionata, era qualcosa che si
poneva fuori dagli strumenti abituali per la composizione dei
conflitti sociali, ci faceva pensare a una decisione rozza, violenta,
decisa dall'apparato militare poliziesco dell'alleanza atlantica, un
intervento simile a quelli dell'opposto apparato del patto di
Varsavia. Non avevamo alcuna prova che le bombe fossero state messe
dai servizi segreti, ma vedevamo che si correva a cancellare le
possibili prove, qualcuno aveva fatto brillare la bomba non esplosa
della Banca Commerciale, la polizia era stata mandata sulla falsa
pista degli anarchici, sospetti, accuse arrivavano non si sa da chi
contro l'editore Feltrinelli e non si capiva chi nel governo fosse
ignaro e chi complice.
La politica diventava misterica, sfuggente, incomprensibile. Un governo moderato, votato da i benpensanti, dalla maggioranza silenziosa, si piegava a coprire le trame dei servizi segreti, lasciava che gli scontri di classe fossero condizionati dalle bombe; e l'opposto rivoluzionarismo giovanile invece di risolvere il misterioso intreccio lo annodava, diffondeva la psicosi di un imminente colpo di Stato fascista, di destra, che era fuori da ogni logica. Da piazza Fontana, da quei poveri morti si spandeva un fumo denso di voci, sospetti, false notizie, indiscrezioni pilotate, umori e indiscrezioni faziose per cui ogni parte era in grado di smentire l'altra e rendere più aspra e confusa la mischia.
[...]
Giorno dopo giorno questa isteria e inaffidabilità e faziosità consumavano quel filo continuo della solidarietà nazionale che neppure il fascismo e la guerra civile avevano interrotto. Nel disegno mussoliniano di emarginare il partito per riscostruire lo Stato gli italiani avevano visto, certo, l'instaurazione di una dittatura personale ma anche una continuità del patto sociale, anche il fatto che prefetti, questori, generali, poliziotti erano garanti di una legalità statuale e che era impensabile che uno di essi potesse far mettere delle bome in una banca o coprire una tramna straniera. Persino nei giorni della guerra civile, persino nei venti mesi in cui il fascimo moribiondo era stato al servizio dell'occupante nazista si pensava che ciò che era rimasto dello Stato stava dalla parte degli italiani, cercava di salvare il salvabile. Ora invece, con piazza Fontana, per la prima volta gli italiani avevano l'impressione di essere stati ingannati, traditi dal loro Stato.
[...]
Giorno dopo giorno questa isteria e inaffidabilità e faziosità consumavano quel filo continuo della solidarietà nazionale che neppure il fascismo e la guerra civile avevano interrotto. Nel disegno mussoliniano di emarginare il partito per riscostruire lo Stato gli italiani avevano visto, certo, l'instaurazione di una dittatura personale ma anche una continuità del patto sociale, anche il fatto che prefetti, questori, generali, poliziotti erano garanti di una legalità statuale e che era impensabile che uno di essi potesse far mettere delle bome in una banca o coprire una tramna straniera. Persino nei giorni della guerra civile, persino nei venti mesi in cui il fascimo moribiondo era stato al servizio dell'occupante nazista si pensava che ciò che era rimasto dello Stato stava dalla parte degli italiani, cercava di salvare il salvabile. Ora invece, con piazza Fontana, per la prima volta gli italiani avevano l'impressione di essere stati ingannati, traditi dal loro Stato.
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